Articolo 3 - I laici dell’Azione Cattolica Italiana

I laici che aderiscono all’A.C.I.:
a.     si impegnano a una formazione personale e comunitaria che li aiuti a corrispondere alla universale vocazione alla santità e  all’apostolato nella loro specifica condizione di vita;
b.   collaborano alla missione della Chiesa secondo il modo loro proprio portando la loro esperienza ed assumendo le loro  responsabilità nella vita dell’Associazione per contribuire e alla esecuzione dell’azione pastorale della Chiesa, con costante  attenzione alla mentalità, alle esigenze e ai problemi delle persone, delle famiglie e degli ambienti;
c.      si impegnano a testimoniare nella loro vita l’unione con Cristo e ad informare allo spirito cristiano le scelte da loro compiute,  con propria personale responsabilità, nell’àmbito delle realtà temporali.

Con l’articolo 3 lo Statuto dell’A.C.I. passa a indicare quali impegni si assume colui che aderisce all’Associazione. Anche qui è interessante confrontare il dettato del 1969 con quello dello Statuto precedente (che, ricordiamo, risale al 1946). Nello Statuto dell’immediato dopoguerra l’art. 1 diceva che «l’Azione Cattolica Italiana è l’organizzazione nazionale del laicato cattolico per una speciale e diretta collaborazione con l’apostolato gerarchico della Chiesa. A tale scopo l’Aci cura, per sé stessa o per altre Opere Cattoliche, dipendenti o coordinate, la formazione spirituale ed apostolica dei suoi membri, ne dirige le attività per l’applicazione, la diffusione e la difesa dei principii cristiani nella vita individuale, familiare e sociale, e professa particolare devozione e obbedienza al Vicario di Cristo».
Balza sùbito all’occhio la differenza di impostazione del discorso: dove all’Associazione (vale a dire alla sua dirigenza) era affidato il cómpito di guidare i socii nella loro attività apostolica, ora si chiede ai socii di impegnarsi personalmente a operare «nella loro specifica condizione di vita» in modo da testimoniare il Vangelo di Gesù Cristo: e, logicamente, si chiede loro di mettersi nelle condizioni (anche) culturali di poter essere testimoni autentici e coerenti. E qui è doveroso richiamare il Concilio “Vaticano II” che nella Costituzione Lumen gentium (promulgata il 21 novembre 1964) trattando dei laici dice: «Col nome di laici si intendono qui tutti i fedeli ad esclusione dei membri dell’ordine sacro e dello stato religioso sancito nella Chiesa, i fedeli cioè che, dopo essere stati incorporati a Cristo col battesimo e costituiti Popolo di Dio e, nella loro misura, resi partecipi dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, per la loro parte compiono nella Chiesa e nel mondo la missione propria di tutto il popolo cristiano. [...] Per loro vocazione è proprio dei laici cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio. Vivono nel secolo, cioè implicati in tutti i singoli doveri e affari del mondo e nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale, di cui la loro esistenza è come intessuta. Ivi sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall’interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo mediante l’esercizio del proprio ufficio e sotto la guida dello spirito evangelico, e in questo modo a manifestare Cristo agli altri, principalmente con la testimonianza della loro stessa vita, e col fulgore della loro fede, della loro speranza e della loro carità» (n. 30). Quasi un anno dopo, il decreto sull’apostolato dei laici (Apostolicam actuositatem) avrebbe sviluppato e approfondito questi concetti.
È evidente il salto culturale compiuto dal Concilio: salto che in Italia fu reso possibile dall’avvìo di una più diffusa scolarizzazione e soprattutto dal progressivo superamento dell’atteggiamento di difesa con la conseguenza dell’apertura al confronto e al dialogo con chi aveva compiuto esperienze diverse da quelle italiane. Soprattutto va sottolineata la dichiarazione che «i laici [sono], nella loro misura, resi partecipi dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo»: che da una parte evidenzia la responsabilità derivante dal battesimo, dall’altra esalta il ruolo del laico nella Chiesa.
Da qui deriva il significato dell’Azione Cattolica: essa oggi si propone non come organizzazione che trasmette dall’alto indicazioni operative decise altrove, sia pure in un “altrove” qualificato; l’A.C. vede nell’organizzazione associativa un modo per far circolare idee ed esperienze – soprattutto (ma non solo) in ordine all’approfondimento della Parola di Dio – in modo da stimolare nei socii la consapevolezza del loro “ufficio sacerdotale, profetico e regale” da svolgere non solo nella Chiesa ma anche nella società nella quale vivono e operano. A cominciare dalla famiglia.
E allora può essere un utile spunto di riflessione anche un passo della Lettera a Diogneto: «I cristiani ... non si differenziano dagli altri uomini né per territorio né per lingua o [per] abiti. Essi non abitano in città proprie né parlano un linguaggio inusitato; la vita che conducono non ha nulla di strano. La loro dottrina non è frutto di considerazioni ed elucubrazioni di persone curiose, né si fanno promotori, come alcuni, di qualche teoria umana. Abitando nelle città greche e [in città] barbare [cioè non greche], come a ciascuno è toccato, e uniformandosi alle usanze locali per quanto concerne l’abbigliamento, il vitto e il resto della vita quotidiana, mostrano il carattere mirabile e straordinario, a detta di tutti, del loro sistema di vita» (V, 1-4).

A cura del Prof. Leobaldo Traniello