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Crisi economica, l'uomo che lavora vale meno del prodotto

L’origine della crisi economica è stata individuata nell’uso maldestro di strumenti finanziari a elevato profilo di rischio. Il crollo del loro valore ha provocato il diffondersi della sfiducia e inceppato il funzionamento del mercato del credito. La crisi si è così trasferita all’economia reale, con pesanti conseguenze sui livelli occupazionali. Alla “radice finanziaria” della crisi si aggiunge quella legata agli squilibri delle finanze pubbliche e ai debiti sovrani.

Questa lettura non è sbagliata, ma rischia di coprire tendenze negative del sistema economico in azione da più lungo tempo. Prospettiamo qui l’idea che la vera crisi sottostante quella generatasi nel mondo della finanza sia determinata da sovrapproduzione inteso come produzione non orientata al soddisfacimento dei bisogni umani, ma solo all’accumulazione.

Il sociologo americano Schnaiberg definì questa spinta a produrre incessantemente come «la macina della produzione»; la sua giustificazione sociale è che si generano posti di lavoro e la macchina dell’economia funziona e crea ricchezza che viene goduta anche dai lavoratori e dalle classi meno abbienti. L’ipotesi che la crisi che ci attanaglia derivi da sovrapproduzione nasce dall’idea che anche i prodotti finanziari siano alla fin fine il frutto di un’incessante spinta a diversificare le merci. Ma il punto centrale riguarda il fatto che la produzione – che si tratti di merci, servizi o strumenti finanziari – risponde a una logica in buona misura sganciata dai bisogni delle persone: la spinta è l’accumulo di ricchezza monetaria, non il benessere o la felicità. L’economia del profitto “si serve” del bisogno di lavorare per perseguire i propri scopi; è questo il punto cruciale da mettere a fuoco. Il lavoro è diventato esso stesso una “macina della produzione” infernale che spinge tutti a impegnarsi di più per guadagnare di più, per spendere di più. Sulla crisi ecologica si possono fare considerazioni analoghe: si confondono le cause profonde con quelle superficiali. Per molti la crisi ecologica è solo un problema tecnico-politico, la cui soluzione consiste semplicemente nel riparare alcune disfunzioni di specifici ambiti merceologici  o  territoriali. La crisi ha invece un carattere globale, poiché proviene da molto lontano, risale almeno alla diffusione su larga scala delle fonti di energia fossile, che ha permesso incrementi straordinari della produttività di tutti i fattori che hanno di certo portato molti agi e la sconfitta della fatica fisica del lavoro per milioni di persone, ma a livello globale restano enormi differenze nella distribuzione anche del lavoro fisico.

Questa analisi della crisi ecologica si accosta a quella dell’economia: in entrambe si individua nella produzione di beni e nel relativo consumo senza attinenza con i bisogni delle persone un problema centrale del nostro tempo, che si manifesta poi in sovrapproduzione e in degrado ambientale. In mezzo a questo incrocio di economia e ambiente si colloca il lavoro, in qualche modo compartecipe del destino della produzione. Se non si prende coscienza di questo si rischia di non capire la crisi economica né quella ecologica. Si deve allora esaminare il fattore lavoro più da vicino, alla ricerca di una sua maggiore sostenibilità e della possibilità di svincolarlo dalla “macina della produzione” fine a se stessa.

La sfida è dunque includere nell’economia del lavoro i beni naturali, e non considerarli più meri mezzi di produzione, superare la doppia separazione del lavoratore dal bene prodotto e dai beni naturali utilizzati per produrlo; di considerare il lavoro umano come un complemento della creazione, una trasformazione  che include e per molti aspetti perfeziona la natura con cui è in continuità. Inclusione della natura nel lavoro significa progettare, produrre, usare e smaltire quel prodotto in modo che possa tornare armoniosamente dentro l’ambiente.

A cura del Movimento Lavoratori di Azione Cattolica. Si ringrazia il prof. Giorgio Osti, sociologo dell’ambiente e del territorio presso l’Università di Trieste, per gli spunti forniti.

Pubblicato su La Settimana di Domenica 29 Settembre 2019

Data: 
Domenica, 29 Settembre, 2019 - 23:11